Se esiste una dimensione sospesa – che nulla ha a che fare con il tempo di questo periodo di attesa, quello che precede il ritorno alla vita, un tempo che di sospeso ha ben poco e che, al contrario, meriterebbe di essere considerato per quello che è, un tempo vero, reale, doloroso e infinito – essa è quell’occhiata che la mattina, guardando la costa, Craig dava al passaggio tra i due colori turchini, il confine tra i due azzurri più intensi del mondo. «Guardo sempre il cielo, a Cape Town», pensava Craig camminando verso Camps Bay. Non c’era nulla di arrogante, nelle sue parole, nulla che si potesse confondere con il disprezzo dell’ovvio. Lei l’aspettava puntuale, senza mostrare insofferenza nè fretta; sapeva che Craig amava passeggiare un poco, ed annusare l’aria fredda e salata. Il tempo correva veloce, ritmato dal traffico locale e dalle giornate più belle dell’anno, le mattine invernali svelate dalle prime fioriture. Si muoveva lento, Craig, mentre il sole accarezzava la baia senza ferirla, lasciandone intatti il colore e quel ritmo nascosto e impossibile che sono le onde. C’era, in quella parte della città, tutta la forza magnetica di una roccia arenarica, tutta la tenacia del Fynbos immortale e sferzato dal vento. Là, i giorni correvano veloci senza sfiorare la terra, e quella sensazione di immunità alla vita, al trascorrere del tempo e dei minuti, piaceva a Craig e a chi l’amava e lo stava aspettando. Laggiù, lungo Camps Bay Drive, qualsiasi cosa accadesse, si scendeva e si risaliva veloci, cambiando prospettiva ad ogni tornante.
«Mi piace questo tramonto, riflesso sulla Montagna», aveva detto Anne, il primo giorno, e Craig aveva capito che lì sarebbero tornati presto, e che a lei era piaciuto. In quel luogo, si arrivava sempre a pensare qualche cosa di simile, un’idea o un ricordo che avvicinava due persone senza tradirle. Anne lo attendeva con pazienza, perchè vivere di fronte alla baia ed uscire, la mattina, senza camminare un pò, sarebbe stato, per lui, innaturale e privo di senso. Per questo, si ripeteva Anne ogni giorno, lei lo amava. Si erano incontrati lontano, dove le strade non si inerpicano sulla montagna e i semafori, dopo mille miglia, diventano alberi. Lì era diverso, e dimenticare diventava un gesto occasionale, lieve come un’abitudine, come bere un bicchiere d’acqua. Restava, di quel mattino d’inverno, la leggerezza del vento marino e quel sole che rendeva ogni colore più denso, ogni forma capace di contrastare il paesaggio tutt’intorno ed apparire come un bassorilievo. Se le avessero chiesto perchè laggiù era diverso, si sarebbe sentita incapace di rispondere, poichè aveva imparato che, in quel luogo, la bellezza del paesaggio non ammetteva domande. Lo vide tornare, una figura che camminava contro il verde degli alberi. Quel luogo in discesa, si ripetè, non avrebbe concesso risposte. Per questo le piaceva. Non si sarebbero mai traditi, tra loro. Partirono subito, risalendo Geneve. Non c’erano nuvole, quel giorno.
Articolo di Corrado Passi
Fotografia di Silvia Turazza