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Gaudensius: figlio dell’etna

Gaudensius: figlio dell’etna

Articolo e fotografia di Filippo Freda Sommelier

La Land Rover Defender percorre ostinata le tortuose stradine che da Castiglione di Sicilia mi portano a Linguaglossa, dove imbocco un lungo tratto di strada sterrata. I bassi muretti in pietra lavica, che delimitano casali e vigneti, lasciano spazio a una pineta selvaggia e incantata. La 4X4 si arrampica inesorabile e man mano che l’altitudine aumenta la vegetazione si riduce, svelando un paesaggio dai tratti rarefatti.

È il fascino dell’Etna, “A Muntagna”, che materna sovrasta la Sicilia orientale incutendo rispetto e ammirazione in coloro che la osservano.
Faccio sosta lungo la lingua di lava risalente all’eruzione 2002. È la colata nord!

Un mostro di magma che si spinse a valle per quasi 5 chilometri, raggiungendo una larghezza massima di 500 metri ed uno spessore di quasi 20 metri.
Un tempo fu fiume di fuoco ardente, ma oggi riposa in un silenzio profondo, come un drago addormentato sotto il manto del cielo siciliano. Le sue ferite di fuoco si estendono lungo il fianco dell’Etna, scorrendo come vene di pietra nera tra i pendii. Ciò che rimane è un mare di roccia indomabile, un deserto di basalto rugoso che riflette la forza primordiale della terra.
La lava, ormai solidificata, ha scolpito un paesaggio lunare, dove il tempo sembra essersi fermato in un istante eterno. È un mosaico di crepe e spaccature, un intricato arazzo tessuto dal caos e dalla potenza del vulcano. Eppure, nonostante l’apparente desolazione, la vita inizia a trovare il suo cammino. Tra le pieghe scure della lava, piccoli fiori coraggiosi spuntano, puntini di verde che osano sfidare il terreno sterile. Muschi e licheni tingono di colori tenui la roccia, come pennellate delicate su una tela ruvida.
La colata nord, con la sua imponenza silenziosa, racconta una storia di distruzione e rinascita.
È un monumento naturale, un ricordo inciso nella pietra che sussurra all’orecchio di chi passa il suo racconto di fuoco e cenere, di creazione e trasformazione. In questo paesaggio indomito, la memoria dell’eruzione vive, scolpita nel cuore della montagna, per ricordare a tutti la forza immensa e indomabile della natura.

Dopo aver respirato l’aria pura ed immerso i sensi nella maestosità di questo paesaggio, scendo a circa 650 metri di altitudine, trovando rifugio nello splendido Wine Resort Cavanera Etnea by Firriato.
È tempo di concedersi un altro piacere sensoriale: il Gaudensius Pas Dosé firmato Firriato.
Come l’Etna scolpisce la terra con la sua lava, questo spumante definisce il carattere del vino con la sua elegante complessità.
Il Gaudensius Pas Dosé è un’espressione pura e raffinata della viticoltura etnea, un vino che, come il magma solidificato, racconta la storia di un territorio straordinario.
Prodotto con uve Nerello Mascalese in purezza, coltivate a piede franco su suoli ricchi di minerali, questo spumante offre freschezza vibrante e nobile struttura, rispecchiando dell’energia del contesto pedoclimatico.

Nel calice, il Gaudensius si presenta con un perlage fine e persistente, che ricorda i lapilli di lava nella notte siciliana. Il colore giallo paglierino brillante è attraversato da riflessi dorati, ambasciatori di calore e luminosità. Al naso, si svela con aromi delicati di agrumi, fiori bianchi e frutta candita, intrecciati a suadenti note di pane tostato e nocciola, segni distintivi di una lenta maturazione sui lieviti, che si prolunga ben 40 mesi.

In bocca, freschezza e sapidità si fondono in un equilibrio perfetto, offrendo un’esperienza potente ma eterea, proprio come “A Muntagna”. Il finale è persistente e austero, con richiami di ribes e note agrumate.

Il Gaudensius Pas Dosé non è solo vino; è celebrazione della forza e della bellezza dell’Etna, un brindisi alla natura che continua a reinventarsi e rinascere, Araba Fenice forgiatrice di questo straordinario angolo d’Italia. “Era dunque là questo gigante della Sicilia verso il quale, fin dalla mia infanzia, il mio pensiero si era tante volte diretto. Io la contemplavo finalmente questa montagna che gli antichi avevano denominato chiodo della terra e pilastro del cielo”.
(Elisée Reclus)

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