E chi se l’aspettava? Una pandemia proprio come nel Medio Evo!
Soltanto che nel Medio Evo il mondo era più piccolo o forse le distanze erano più difficilil da colmare, mentre oggi il mondo è piccolo e ogni luogo si raggiunge in un baleno.
Nemmeno lo Zimbabwe, nel cuore dell’Africa australe, è stato risparmiato e per far fronte a questo enorme rischio il Governo ha adottato alcune restrizioni, tra cui il “lock down” che dura da nove settimane.
Così, affacciato sulla soglia della porta di casa mia, ad Harare, in una splendita notte di luna piena, osservo i giochi di luci ed ombre e la mia mente vola nei luoghi più incantevoli di questo paese, ora deserti, fino a quando il turismo non riprenderà il suo corso.
Ai piedi della grande palma che sovrasta il giardino, un’ombra sinuosa, appena accarezzata dalla luce riflessa della luna, scivola con le sue movenze feline. Non vedo un gatto, ma la sagoma di un leopardo che si muove silenzioso ed etereo nella notte, lassù nella valle dello Zambesi, dove il grande fiume scorre silenzioso, abbeverando i grandi e piccoli animali africani. Qui, nelle Mana Pools, all’ombra dei grandi alberi del margine fluviale, i raggi solari che filtrano durante il giorno, disegnano magiche atmosfere nelle quali danzano elefanti, leoni, antilopi, licaoni, ghepardi e leopardi, mentre nel fiume sguazzano ippopotami e coccodrilli. I mille colori delle piume di centinaia di specie diverse d’uccelli gettano pennellate di colore che subito si dissolvono per far posto a nuovi spruzzi cromatici che si stagliano contro il cielo e le chiome degli alberi.
Il gatto prosegue la sua perlustrazione nel buio, sfiorando il muro della casa, che nella mia fantasia diviene un muro di pietre magistralmente disposte da uomini vissuti cinque secoli fa, qui in Africa, proprio mentre il Vecchio Continente veniva spazzato da un’altra devastante epidemia.
La civiltà di Great Zimbabwe, la città delle “Case di pietra” (“Zimba ya babwe”, da cui deriva il nome della nazione, significa proprio questo), nasce prima dell’anno mille e prospera nella regione dell’odierno Zimbabwe sud-orientale erigendo straordinari monumenti in pietra granitica che sono giunti fino a noi quasi intatti: una testimonianza unica nell’Africa subsahariana medievale. Tra le pietre disposte ordinatamente ed i graniti naturali, la storia ci sussurra e ci racconta.
La mia fantasia non si ferma, coì come il gatto nel giardino, che distratto da un rumore si ferma, poi sale sulla montagnola di grosse pietre sulla quale cresce un aloe, circondata da altre piante ornamentali. I miei occhi viziati dalla luce incerta e dalla nostalgia per luoghi momentaneamente irraggiungibilli, non vedono le pietre di un giardino, ma le magiche composizioni geologiche delle colline del Matopos, dove gli enormi massi di granito formano colline e ciclopiche composizioni artistiche naturali, dipinte dai mille colori dei licheni. Tra le pietre gigantesche balzano antiloppi saltarupe e le procavie si crogiolano sotto i raggi del sole, mentre un leopardo osserva nascosto nell’anfratto di una grotta. Laggiù nella valle, tra l’erba alta della prateria, i rinoceronti bianchi, giganti preistorici dai corni lunghi ed appuntiti pascolano in piccoli gruppi, mischiandosi a volte con le giraffe e gli gnu. Dall’alto del cielo sopra le colline, le aquile nere di Verroux scrutano la prateria in cerca di prede, mentre sotto di loro, nelle grotte scavate dall’erosione, le pitture rupestri ci tramandano il messaggio dei nostri antenati.
Il gatto fiuta il terreno, poi riprende il suo cammino e scompare tra l’erba, proprio come i leoni di Hwange (il grande parco nazionale che sorge nello Zimbabwe occidentale), che appaiono all’improvviso dalla boscaglia, nella fredda luce del primo mattino, sfiorano il Land Rover con i loro corpi sinuosi, guardano con i loro occhi gialli che incutono timore anche ai più impavidi e infine scompaiono di nuovo, leggiadri e letali, come se non fossero mai esistiti.
Ora, la grande palma del giardino mi sembra un baobab millenario, dai rami che paiono centinaia di braccia stese sulla boscaglia, come un vecchio saggio che custodisce questo immenso patrimonio naturale dalle mille meraviglie.
Intanto, il cielo di mezzanotte si è rannuvolato e un lampo squarcia l’oscurità. Un ultimo temporale si attarda in questa fine stagione delle piogge e le goccie di pioggia iniziano a cadere in un piovasco violento, ma breve che per un istante mi ricorda il rombo sommesso che si ode già a distanza, avvicinandosi alle Cascatte Vittoria. Qui, dove lo Zambesi si tuffa in un salto di circa cento metri d’altezza, lungo un fronte che sfiora i due chilometri, lo Zimbabwe ci regala uno degli spettacoli più maestosi e suggestivi del pianeta, un luogo che pur sembrando riservato agli Angeli, ci viene concesso di ammirare in silenzio, laddove solo l’acqua ha diritto di cantare.
E’ ora di ritirarmi sotto le coperte. Domani è un nuovo giorno e magari si tornerà a viaggiare.
Questo articolo vuole raccontare in modo alternativo, alcune delle straordinarie ed uniche bellezze del mio paese, lo Zimbabwe, condite con un po’ di nostalgia e un goccio di frustrazione per l’immobilità a cui l’umanità intera è costretta in questo particolare momento storico. E’ un sentimento che proviamo noi operatori turistici, per i quali il viaggio non è soltano passione, ma anche sopravvivenza; ed è un sentimento che provate certamente anche tutti voi viaggiatori. Questo testo, quindi, non intende raccontare la nostalgia per un tempo perduto, bensì ravvivare l’entusiasmo per il viaggio che presto tornerà ad arricchirci di emozioni ed esperienza.
Vi aspetto quindi in Zimbabwe, dove presto torneremo a trasformare il vostro sogno africano in realtà!
Articolo di Gianni Bauce, fondatore di African Path Safaris
Fotografia: African Path Safaris